domenica, marzo 25, 2007

lunedì, marzo 19, 2007

Porotos granados


Dopo numerose incursioni nella cucina cilena ho scelto il mio piatto!
la carne è buona ma nn mi ha mai entusiasmato; i frutti di mare qui sono di dimensioni inimmaginabili e, visto che li cucinano quasi sempre crudi, mi fanno un po' senso in bocca, sono mollicci; la pasta inutile considerarla; le verdure non le elaborano molto (faccio prima a farmele io sulla piastra) ma il poroto è il re della festa.
Si tratta di semplice mais fresco, preso dalla pannocchia, che è il prodotto piu' presente nella dieta dei cileni.
uno dei piatti che si inventano è la Humita, un condensato di mais a cuisi aggiunge lo zucchero...nn mi convince, troppo secco e un sapore troppo forte.
ma los POROTOS GRANADOS mi hanno conquistata.
è un miscuglio di mais e fagioli, una zuppa a cui si aggiunge una buona quantità di burro, un po' di zucca ed è pronta per essere servita bella calda.
se poi si mangia nel piu' bel mercato di Santiago, preparato da una vecchietta sdentata...diventa una prelibatezza!

le mie creazioni


Negli ultimi tempi la mia maggiore soddisfazione sono le mie piante.
Sembra una piccola cosa, ma quando ho visto spuntare i fiorni dalla mia pianta di basilico mi sono sentita orgogliosa, orgogliosa di averla annaffiata da quando era piccola, orgogliosa di essere stata capace di farle fare i fiori.
Sarà che mi sto facendo prendere dall' istinto materno?
non lo escludo, ma ora capisco perchè mio padre è tanto felice quando tutti lo elogiano per il pollice verde che ha.
Quella che mi preoccupa è la piantina di menta, sarà la gelosia nei confronti del basilico e i complessi di inferiorità..ma sta crescendo storta!
che difficile essere genitori...

nuovo tramonto


Questo è il tramonto di questa domenica sera dal mio terrazzo, dopo un fine settimana movimentato pur non avendo messo piede fuori casa e in un momento in cui vorrei che questo tramonto sia solo l'inizio di una notte nuova, la prima nuova notte di un nuovo ciclo, di una nuova esperienza dentro di questa esperienza.
Qualcosa che mi aiuti ad essere e sentirmi migliore, a dare piu' valore alle cose e alle persone, a crescere senza pensare solo a cosa è meglio per me.

venerdì, marzo 02, 2007

E se finisco come Icaro?


Ci sono giorni in cui penso che, se dovessi descrivere le mie giornate qui, non sprei bene cosa dire..
è una vita tranquilla, scandita da mille viaggi che sto facendo e mille altri che programmo; una vita in cui vorrei il dono dell'ubiquità per vedere i miei genitori ogni tanto, uscire con gli amici di sempre, amare la persona che amo e,contemporaneamente, conoscere tutti i cileni, gli spagnoli, gli americani, argentini e brasiliani che sto conoscendo.
E vorrei una giornata di 48 ore per lavorare ancora meno di quello che lavoro e avere lo spazio mantale per assaporare il tempo libero, leggere tutti i classici che non ho mai avuto il tempo di affrontare, fare un corso di teatro, imparare davvero l'arabo, "autoinfondermi" la creatività e la capacità di dipingere e scrivere poesie e imparare a volare.
Respira Roberta, respira...
Bello essere ambiziosi, ma volare? e il dono dell'ubiquità? e soprattutto non posso affatto dire di condure un'esistenza monotona! la mia vita cambia ogni giorno grazie ad ogni persona che conosco, ogni frase che ascolto, ogni odore nuovo, ogni posto che vedo.
Saremo noi generazione di "terremotati" che vogliamo sempre di più, che non sappiamo accontentarci di aver visto mezzo mondo a soli 26 anni?

Terra di camorra


"Cercavo di capire se i sentimenti umani erano in grado di fronteggiare una così grande macchina di potere, se era possibile riuscire ad agire in un modo, in un qualche modo, in un modo possibile che permettesse di salvarsi dagli affari, permettesse di vivere al di là delle dinamiche di potere. Mi tormentavo, cercando di capire se fosse possibile tentare di capire, scoprire, sapere senza essere divorati, triturati. O se la scelta era tra conoscere es essere compromessi o ignorare- e riuscire quindi a vivere serenamente. Forse non restava che dimenticare, non vedere. Ascoltare la versione ufficiale delle cose, trasentire solo distrattamente e reagire con un lamento. Mi chiedevo se potesse esistere qualcosa che fosse in grado di dare possibilità da una vita felice, o forse dovevo solo smettere di fare sogni di emancipazione e libertà anarchiche e gettarmi nell'arena, ficcarmi una semiautomatica nelle mutande e iniziare a fare affari, quelli veri. Convincermi di essere parte del tessuto connettivo del mio tempo e giocarmi tutto, comandare ed essere comandato, divenire una belva da profitto, un rapace della finanza, un samurai dei clan; e fare della mia vita un campo di battaglia dove non si può tentare di sopravvivere, ma solo di crepare dopo aver combattuto.
Sono nato in terra di camorra, nel luogo con più morti ammazzati d'Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera potere. Dove tutto ha il sapore di una battaglia finale. Sembrava impossibile avere un momento di pace, non vivere sempre all'interno di una guerradove ogni gesto può divenire un cedimento, dove ogni necessità si trasformava in debolezza, dove tutto devi conquistarlo strappando la carne all'osso. In terra di camorra, combattere i clan non è lotta di classe, affermazione del diritto, riappropriazione della cittadinanza. Non è la presa di coscienza del proprio onore, la tutela del proprio orgoglio. é qualcosa di più essenziale, di ferocemente carnale. In terra di camorra conoscere i meccanismi d'affermazione dei clan, le loro cinetiche d'estrazione, i loro investimenti, significa capire come funziona il proprio tempo in ogni misura e non soltanto nel perimetro geografico della propria terra. Porsi contro i clan diviene una guerra per la sopravvivenza, come se l'esistenza stessa, il cibo che mangi, le labbra che baci, la musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a concederti il senso della vita, ma solo quello della sopravvivenza. E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare."
Roberto Saviano "Gomorra"