martedì, marzo 17, 2009

A noi terremotati non fanno paura i movimenti, non ci spaventano le scosse di quelle che creano crepe indelebili nei muri e con cui la terra fa sentire la sua voce.
Noi terremotati veniamo da territori geograficamente difficili o che con il tempo e la cattiva gestione lo sono diventati, terre senza le quali non possiamo vivere ma che ci portiamo dietro come un peso, nel rimpianto di non essere capaci di contribuire allo sviluppo e la rassegnazione atavica che i nostri genitori ci rimproverano tanto da farci sentire in colpa.
Noi siamo terremotati dentro, senza una meta perchè le nostre origini ci hanno sbalzato verso una realtà distorta, che non sa trovare punti fermi perchè non ce ne sono mai stati..
Ci esprimiamo in mille altre lingue perchè sarebbe tutto troppo chiaro se dovessimo dirlo nella nostra, viviamo e ci adattiamo a tutte le situazioni, abbiamo la battuta pronta e sappiamo sempre cosa dire, ci hanno insegnato che il bicchiere del vino é quello piccolo, che nessuno vota Berlusconi ma è e sarà sempre lì, che il posto fisso è la massima aspirazione, che Roma è meglio di Milano, che il Sud è corrotto, che Rita Pavone ha fatto storia e che Laura Pausini ci rappresenta nel mondo.
Siamo pieni di esperienze, possiamo raccontare posti che i nostri nonni non potevano nemmeno sognare ma abbiamo un vuoto dentro dettato da questo girovagare, dal non aver tempo per stringere relazioni tra un trasloco e l'altro, dal non essere capaci di creare ma solo di assistere come spettatori increduli ad un susseguirsi di episodi.
Il terremoto crea una crepa simile a quelle di un vulcano in eruzione che prima o poi ci fanno crollare, scendere dal piedistallo per renderci conto dell'importanza di un'amicizia nuova o vecchia, del fascino degli odori e del piacere di chiacchierare nella lingua che ti porti dietro da tempo immemorabile.
Siamo una generazione costretta a non prendersi sul serio per poter far finta di non aver paura di questo terremoto esistenziale..

domenica, marzo 15, 2009

La musica popolare ti lascia sempre un nodo in gola. Io credo che ci sono autori che sono capaci di trasmettere la sensazione di appartenere alla terra che stanno cantando.
Le mie poche incursioni in Andalusia mi fanno sentire qualcosa di simile, la storia di una terra povera ma fertile, piena di culture che si fondono nella creazione di suoni indimenticabili.
Il flamenco puó essere un'espressione rumorosa e poco elegante di una parte di cultura locale ma, come tutte le musiche popolari, ha degli esponenti così validi che ci si innamora dei sentimenti, del battere delle mani, della chitarra che accompagna voci che seguono un ritmo vitale.

E allora anche l'esagerazione, la sceneggiata, la quasi volgarità di un mezzo personaggio puó diventare passione e poesia.